Correva l’anno 2005 quando Brian Halligan e Dharmesh Shah, fondatori di HubSpot, utilizzarono per la prima volta il termine Inbound Marketing.
Il neologismo serviva a designare una nuova metodologia strategica, opposta al marketing tradizionale, con cui si auspicava la crescita di un’impresa attraverso la valorizzazione della relazione con il cliente e, in particolare, la creazione di contenuti ed esperienze di valore capaci di attirare e poi fidelizzare i clienti.
Per l’epoca, il cosiddetto “marketing in entrata” proponeva un approccio nuovo e dirompente. Lo scopo non era più “trovare i clienti” con contenuti che tendevano ad attirare forzatamente l’attenzione del pubblico attraverso un’interruzione della loro esperienza (la pubblicità in televisione ne è il classico esempio); piuttosto, il nuovo approccio proponeva di “farsi trovare dai clienti” con contenuti che essi stessi desideravano e ricercavano.
Questo cambio di prospettiva venne favorito senza dubbio dallo sviluppo di internet come fonte di approvvigionamento di notizie e informazioni, come del resto aveva previsto lo stesso fondatore di Microsoft, Bill Gates, quando nel 1996 scrisse il saggio dal titolo sibillino “Content is king”.
Da allora Internet è effettivamente diventato quel vasto mercato di contenuti in cui tutti cerchiamo risposte ai nostri bisogni e alle necessità più disparate. Di conseguenza, anche l’Inbound Marketing si è rivelato una metodologia essenziale per le imprese.
Oggi, gli sforzi dei marketer sono diretti a confezionare strategie che mettono al centro le esigenze dei clienti e la produzione di contenuti di valore che, da un lato, sappiano soddisfare le necessità degli utenti con informazioni dettagliate e, dall'altro, consentano alle aziende di intercettare potenziali clienti per i propri prodotti e servizi.
In altre parole, nell’Inbound Marketing il contenuto di valore diventa lo strumento chiave per attirare potenziali clienti e condurli alla conversione.
Ovviamente, il contenuto da solo non basta.
Perché un contenuto riesca ad attirare i clienti, sono necessari Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness (EAT), ovvero “Competenza, Autorevolezza, Affidabilità”, che l’azienda deve imparare a costruire investendo nella produzione di contenuti di qualità e in attività di “listening” (ascolto) della propria audience.
In un mercato sempre più competitivo e iper saturo come quello attuale, distinguersi per la completezza, l’affidabilità e la qualità dei contenuti è non solo indispensabile, ma cruciale.
Per capire ancora meglio il paradigma su cui si fonda l’Inbound Marketing, è necessario mettere a confronto questa metodologia con la sua nemesi: l’Outbound Marketing.
L’Outbound Marketing incarna tutto il modo di fare marketing tradizionale. Come abbiamo già detto, con questo approccio le imprese basano le loro strategie di promozione su messaggi che trovano la loro ragion d’essere nell’interruzione dell’esperienza che il potenziale cliente sta facendo su un determinato canale.
Non stiamo parlando solo dello spot pubblicitario che interrompe un film o un programma televisivo, ma anche dei banner pubblicitari o dei pop up che compaiono sui siti web durante la lettura di un articolo, o ancora della telefonata a freddo, e in generale di tutti quei contenuti che si “intromettono” tra l’utente e l’esperienza che egli sta compiendo.
Si parla a questo proposito di Interruption Marketing, ovvero il “Marketing dell’Interruzione” basato su messaggi di tipo “push” che partono dall’azienda (da cui il nome outbound, in uscita) per raggiungere e colpire l’attenzione degli utenti.
L’Inbound Marketing si trova all’esatto opposto di questo modello. Innanzitutto, sono i clienti stessi ad attivarsi nella ricerca di contenuti di loro interesse. Compito dell’azienda è proporre “il contenuto giusto al momento giusto”, ovvero farsi trovare là dove il cliente si muove, con il contenuto in grado di rispondere alle sue necessità.
Ciò implica un maggiore coinvolgimento dell’utente, che di propria spontanea volontà entra in contatto con i contenuti realizzati dall’impresa, manifestando quindi il proprio consenso. Per questo si parla di Permission Marketing, il “Marketing del Permesso” grazie a cui l’audience interagisce con contenuti che non interrompono la sua esperienza ma che, anzi, in molti casi rappresentano essi stessi “il motivo” di quella esperienza.
In questo scenario, l’azienda deve andare incontro alla propria audience con messaggi di tipo “pull” che partono dalle esigenze del potenziale cliente e che possano poi guidarlo verso le braccia dell’impresa (da cui il termine Inbound, marketing in entrata).
Ciò comporta un’altra grande differenza rispetto all’Outbound Marketing. Mentre il Marketing dell'Interruzione tende a colpire indistintamente l’utente, indipendentemente da chi è, dai suoi gusti, dalle sue necessità, con l'Inbound Marketing i messaggi pubblicitari raggiungono solamente chi ha un reale interesse per quel tipo di contenuto.
È il passaggio dal modello di comunicazione one to many, in cui l’impresa confeziona un messaggio promozionale per la massa, al modello one to one, in cui ha la meglio una comunicazione individuale, fortemente targetizzata, ovvero personalizzata in base alle caratteristiche del proprio target.
Attenzione però: non bisogna credere che una metodologia escluda l’altra.
L’Outbound Marketing non è stato surclassato del tutto dall’Inbound Marketing, e ci sono casi in cui la vecchia e cara pubblicità tradizionale ha ancora una certa rilevanza strategica.
Un obiettivo come la brand awareness (aumentare la notorietà del marchio sul mercato) o la necessità di impostare primo contatto con l’utente hanno ancora bisogno di strategie push tipiche dell’Outbound Marketing. E questo è vero soprattutto oggi, in tempi in cui è difficile emergere rispetto alla concorrenza nel mare magnum di contenuti online con cui quotidianamente entriamo in contatto.
L’Inbound Marketing resta invece fondamentale per creare e mantenere relazioni proficue con i clienti, mettendoli al centro di ogni attività di promozione. Per farlo, le aziende devono costruire una customer experience tarata sull’utente: ed è qui che entra in gioco il modello flywheel.
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Il flywheel model è un modello adattato da HubSpot per spiegare lo slancio che un’azienda ottiene quando ricorre all’Inbound Marketing per creare un’esperienza di valore che generi soddisfazione nel cliente e che porti quest’ultimo non solo ad acquistare una prima volta, ma a reiterare l’acquisto e a portare altri nuovi clienti grazie al potere del passaparola.
Non a caso, flywheel significa proprio volano.
Non si tratta di una strategia di marketing, ma di un mindset utile a prendere decisioni per sviluppare una strategia in linea con la metodologia Inbound.
Le fasi del flywheel model sono quattro: attrarre, convertire, chiudere e fidelizzare o, in inglese, “Attract, Convert, Close, Delight”.
Nella fase di attrazione (Attract), l’azienda attira l’attenzione degli utenti con contenuti utili e di valore.
L’obiettivo non è solo soddisfare una necessità dell’utente: l’azienda deve inserirsi in questa fase per far conoscere la propria offerta al target di riferimento.
Gli strumenti che permettono di attrarre nuovi potenziali clienti in questa prima fase del flywheel sono gli articoli di blog, l'ottimizzazione per i motori di ricerca, il social media marketing e persino la pubblicità a pagamento, purché si tratti di campagne sponsorizzate ben targetizzate e con messaggi utili per l’audience (ad esempio gli annunci pay-per-click, come vedremo più avanti).
Poi viene la fase della conversione (Convert) che, come suggerisce il nome, ha l’obiettivo di trasformare gli utenti in lead, ovvero in potenziali clienti.
Il modo migliore per farlo è raccogliere il loro contatto fornendo contenuti extra, approfondimenti, ebook, demo gratuite, programmi freemium di prova: in cambio di un contenuto di valore, l’utente sarà propenso a lasciare spontaneamente i propri dati personali che in seguito potranno essere utilizzati dall’azienda per condurre il potenziale cliente a completare un acquisto.
A questo proposito, si parla spesso di Lead Magnet, ovvero di contenuto “magnete” capace di attirare utenti e convincerli a lasciare l’email e altri dati personali per poter essere ricontattati in seguito. Uno degli esempi più classici di Lead Magnet è l’ebook gratuito, messo a disposizione dell’utente con l’atterraggio su una specifica landing page che permette di scaricare il contenuto solo dopo la compilazione di un form di contatto.
Da qui si passa alla fase di chiusura (Close), in cui avviene la “chiusura della vendita” che trasforma definitivamente il lead in un cliente effettivo.
Le attività tipiche che permettono di passare dalla fase di conversione alla chiusura di una trattativa sono la segmentazione del database e l’invio di comunicazioni personalizzate attraverso attività di Marketing Automation e Lead Nurturing, accompagnate dal Lead Scoring, un'attività che, come vedremo, calcola quando un potenziale cliente è “pronto per la vendita”, assegnandogli un punteggio in base alle sue caratteristiche e al suo comportamento lungo il customer journey.
Affinché il flywheel model sia un effettivo volano per l’impresa, è necessaria un’ultima fase: la trasformazione del cliente acquisito in un ambassador.
In quest'ultimo step, è importante “deliziare” il cliente (da cui il nome inglese Delight) per fidelizzarlo e renderlo uno spontaneo promotore del business aziendale.
Il segreto per farlo è alimentare le interazioni e il dialogo continuo. Un servizio clienti proattivo, la disponibilità multicanale, sondaggi e programmi fedeltà sono tutti sistemi per tenere stretto a sé il cliente e renderlo una parte attiva del proprio successo aziendale.
In effetti, in ogni fase del flywheel model il cliente ha un ruolo attivo, e mai passivo: è l’utente ad avvicinarsi per primo all’azienda grazie ai contenuti che essa mette a disposizione online; è l’utente a rilasciare i suoi dati; è l’utente a completare la vendita e, infine, a promuovere l’azienda che lo ha aiutato a risolvere un problema e/o a raggiungere il suo obiettivo.
Questo mette in luce un altro aspetto fondamentale dell’Inbound Marketing: non sono solo le attività di promozione ad aiutare l’azienda a crescere, ma i loro stessi clienti.
Questa visione customer centric è l’unica via che permette di ridurre gli attriti tra una fase e l’altra del flywheel model, soprattutto in quella più delicata: la vendita.
A questo proposito, vale la pena approfondire il tema del Lead Scoring come strumento fondamentale per ottimizzare gli sforzi dell’Inbound Marketing.
Abbiamo appena visto che con il modello flywheel dell’Inbound Marketing tutto è finalizzato a trasformare un utente prima in un lead e poi in un cliente affiatato.
Una regola da tenere a mente è che, in merito alla generazione di lead, più che la quantità conta la qualità: soltanto gli utenti più predisposti e coinvolti saranno infatti pronti a effettuare il passaggio allo step successivo e diventare clienti effettivi.
Il Lead Scoring ci aiuta proprio in questo: si tratta infatti di uno strumento di marketing che permette di assegnare un punteggio ad ogni lead in base alla sua predisposizione all'acquisto.
Questa viene valutata sulla base di criteri prestabiliti, che possono essere, ad esempio:
Dati demografici, che includono attributi quali qualifica professionale, settore di attività, collocazione geografica, dimensione del business;
Dati di comportamento, che si riferiscono al coinvolgimento del lead nei confronti dell’azienda, assegnando punteggi in base alle sue esperienze nelle attività di Lead Nurturing: tasso di apertura delle dem, alla partecipazione ai webinar, al download di risorse, alla lettura del blog, etc…
Quando il lead compie attività che gli permettono di ottenere punti, viene considerato prima MQL (marketing qualified lead) e poi, al raggiungimento di una determinata soglia di punteggio prestabilito, SQL (sales qualified lead): è in questo momento che l’azienda può attivare il proprio team commerciale per provare a chiudere la vendita.
Ovviamente, per mettere in pratica il modello flywheel bisogna ricorrere ai tool specifici dell’Inbound Marketing.
Tra questi troviamo i CRM, ovvero le piattaforme di Customer Relationship Management che consentono la gestione delle interazioni tra azienda, lead e clienti acquisiti, e gli strumenti di Marketing Automation, fino ad arrivare allo strumento principe dell’Inbound: HubSpot.
Abbiamo visto che gli scopi dell’Inbound Marketing possono riassumersi in: attirare visitatori spontanei sui propri canali, raccogliere i loro contatti (Lead Generation) e poi nutrire i contatti profilati (Lead Nurturing) fino alla loro maturazione in clienti soddisfatti e fedeli.
L’unione di CRM e Marketing Automation permette di lavorare soprattutto nelle fasi di Lead Generation e Lead Nurturing.
Il CRM permette infatti di gestire i lead acquisiti organizzando tutte le informazioni raccolte tramite i form di contatto delle landing page per la segmentazione dei potenziali clienti.
In seguito, grazie al monitoraggio delle attività dei lead e delle loro interazioni con l’azienda (quali canali aziendali visitano, quali articoli di blog leggono, quali prodotti guardano), il CRM permette di assegnare ad ogni lead una posizione specifica all’interno del percorso d’acquisto, consentendo di ottimizzare le attività di comunicazione e marketing in base al punto esatto in cui si trova.
Avendo a disposizione tutti questi dati, l’azienda può costruire facilmente delle comunicazioni personalizzate, ad esempio creare contenuti ad hoc e offerte specifiche sulla base degli interessi dei lead, tenendo fede alla visione customer centrica dell’Inbound Marketing.
La Marketing Automation è lo strumento attraverso cui l’azienda può automatizzare queste attività finalizzate a nutrire i lead.
I software di automazione permettono infatti di creare dei flussi di lavoro automatici (workflow) in base al comportamento dei lead lungo il loro customer journey.
I workflow si basano sul modello “if/then”: se l’utente compie una determinata azione, allora si verifica automaticamente una specifica attività di marketing e/o comunicazione.
Per capire meglio come funziona la Marketing Automation, poniamo il caso di un utente che rilascia il suo contatto su una landing page per scaricare un ebook. A questo punto, si può impostare un workflow automatico che porta l’utente a ricevere subito una e-mail per scaricare il contenuto, seguita da una seconda e-mail il giorno successivo con un nuovo contenuto in regalo, e ancora una terza e-mail dopo una settimana per chiedere all’utente il suo parere sui contenuti di cui ha usufruito, e così via.
In sintesi, il CRM registra l’interazione degli utenti, mentre la Marketing Automation permette di ottimizzare le attività che portano a questa interazione.
Per farlo, l’azienda può ricorrere a software diversi. Ma ce n’è uno che, più di tutti, mette a disposizione tutto questo in un’unica piattaforma.
HubSpot è il tool di Inbound Marketing numero 1, e non solo in ordine cronologico. Lo strumento nasce proprio per fare Inbound Marketing, offrendo un valido supporto applicativo in ogni fase del flywheel model.
Grazie al monitoraggio delle attività blogging e SEO, HubSpot permette di tenere sotto controllo il traffico al sito web, tracciare il comportamento dei visitatori e convertire questi ultimi in lead profilati attraverso la creazione di efficaci call to action, landing page e form di contatto.
Attraverso le attività di Lead Nurturing e il monitoraggio tramite Lead Scoring, HubSpot permette all’azienda di passare all’azione, finalizzando la vendita. Infine, la piattaforma consente di curare la fase del post vendita, incentivando il dialogo con il cliente per renderlo un vero ambassador dell'azienda.
Rispetto ad altri software disponibili, HubSpot offre una soluzione all in one che mette insieme le potenzialità dei più evoluti CRM alla comodità della Marketing Automation per consentire alle aziende di sfruttare tutte le opportunità dell’Inbound Marketing.
Bisogna però ricordare una cosa: gli strumenti sono solo una parte del lavoro.
Essi possono semplificare le attività di acquisizione lead, di nurturing e di vendita, ma il vero focus della metodologia Inbound risiede prima di tutto nella costruzione di un’efficace strategia aziendale.
Per elaborare una strategia di Inbound Marketing bisogna partire prima di tutto dalla conoscenza del proprio target di riferimento.
L’approccio Inbound gravita attorno agli interessi e alle necessità delle persone: da qui l’importanza, per un’azienda, di definire il pubblico target secondo dei veri e propri profili di persone-tipo che potrebbero essere interessate al prodotto o al servizio aziendale.
La Buyer Persona può essere definita come “il cliente ideale” di un’azienda. O meglio: si tratta di un profilo di persona che incarna il target ideale per l’azienda.
Ovviamente non si tratta di una persona reale, ma di un’idealizzazione, una rappresentazione del tipo di cliente che l’azienda desidera per i suoi prodotti e servizi.
Nonostante sia una persona fittizia, la sua utilità per un’impresa è più reale che mai.
La Buyer Persona serve infatti a mettere a fuoco a chi ci si vuole rivolgere. Permette inoltre di individuare le necessità del cliente tipo, e di andare incontro ai suoi bisogni con i giusti contenuti per attirarlo e iniziare il buyer journey che lo spingerà a diventare un cliente affezionato.
Per definire le Buyer Personas aziendali (possono essere più di una), può tornare utile analizzare il parco clienti già acquisito e individuare le caratteristiche chiave che definiscono ogni tipologia di cliente.
Perché sia realmente efficace per una strategia di Inbound Marketing, la Buyer Persona deve avere un profilo il più dettagliato e coerente possibile: oltre alle caratteristiche anagrafiche, bisogna riportare il suo lavoro, il suo ruolo in azienda, il tipo di settore in cui lavora, quali sono i suoi valori, i suoi punti di debolezza, le sue paure, le sue abitudini, quali sono i canali potenziali attraverso cui può entrare in contatto con l’azienda.
Una volta definito il profilo di cliente ideale, sarà più facile costruire contenuti mirati per intercettare l’interesse di persone reali che rispecchiano le caratteristiche delle Buyer Personas aziendali.
Al centro delle strategie di Inbound Marketing ci sono le persone, ma c’è anche il contenuto. Abbiamo visto infatti che offrire un content di valore è la chiave dell’approccio Inbound.
Il contenuto di valore è un qualsiasi contenuto che risulta importante per l’utente. È un contenuto che lo coinvolge, lo arricchisce o più comunemente lo aiuta a risolvere un problema.
Migliaia di utenti interrogano ogni giorno i motori di ricerca per cercare una risposta alle loro domande. Ecco perché la SEO risulta una delle componenti principali dell’Inbound Marketing.
Studiando le query che gli utenti digitano sui motori di ricerca, è possibile individuare i temi di interesse per gli utenti, che possono essere successivamente impiegati dalle aziende per costruire contenuti originali e fare leva sulla sete di curiosità e di informazione di chi naviga sul web per poi condurlo sui propri canali aziendali, tipicamente il sito web o il blog.
Proprio il blog è considerato un valido strumento per le strategie di Inbound Marketing: il suo obiettivo è infatti la condivisione di articoli ottimizzati per i motori di ricerca sulla base delle parole chiave utilizzate dagli utenti per le loro ricerche online.
In questo modo, gli utenti che effettuano una ricerca online possono imbattersi nell’articolo di blog realizzato dall’azienda e approdare spontaneamente sul sito web aziendale, dando il via a un primo punto di contatto tra utente e impresa.
Analogamente alla SEO, gli annunci pay-per-click (PPC) possono raggiungere gli utenti che stanno cercando online una risposta alle loro domande online.
La pubblicità pay-per-click permette infatti di costruire degli annunci basati sulle parole chiave più pertinenti per andare incontro al pubblico che cerca qualcosa su Google e, in seguito, proporre una soluzione attraverso i prodotti o i servizi aziendali.
Non tutti sono concordi nel considerare gli annunci PPC una parte della strategia di Inbound Marketing: tecnicamente, gli annunci sponsorizzati possono essere percepiti come una forma di “interruzione” tra i risultati di ricerca organici della SERP di Google, ritornando quindi alla casistica tipica dell’Outbound.
Dall’altra parte, è vero che questa forma di pubblicità è fortemente orientata al bisogno dell’utente. Dopotutto, si tratta pur sempre di messaggi che raggiungono l’utente nel momento esatto in cui sta cercando una risposta ai suoi problemi.
Il web oggi non è fatto solo di SEO, motori di ricerca e siti web aziendali. Gli utenti spendono la maggior parte del loro tempo sui social media: e poiché l’Inbound Marketing suggerisce di farsi trovare spontaneamente dalla propria audience ovunque essi si trovi, diventa chiaro che una buona strategia Inbound non possa più prescindere da Facebook, Instagram & Co.
Ma come possono essere applicati i social media in ottica Inbound?
Innanzitutto, proprio perché migliaia di utenti utilizzano attivamente questi strumenti, i social sono un’ottima risorsa per la comprensione dei trend di mercato e degli interessi delle persone.
I social media offrono la possibilità di comprendere meglio il proprio target e ricavare spunti utili non solo per la definizione delle Buyer Personas, ma anche per la costruzione di contenuti di valore, esattamente come l’analisi delle query e delle keywords SEO per la stesura degli articoli di blog.
La differenza sta nel fatto che i contenuti social sono molto più dinamici dei blog post: video, grafiche, foto, caroselli, infografiche sono perfetti per attirare l’attenzione degli utenti online, e tutto senza interrompere la loro esperienza sui vari social network.
Se un contenuto social suscita l’interesse di un utente, quest’ultimo può inoltre approfondire il contenuto di suo interesse sul sito web aziendale: ecco allora che i social media diventano un efficace strumento di Inbound Marketing per la loro capacità di portare traffico sui canali aziendali.
Non bisogna poi dimenticare che, oggi, i social media sono un ottimo strumento per creare una relazione a lungo termine con gli utenti e dialogare con loro, indipendentemente dalla loro posizione all’interno del customer journey.
Chi naviga online è sempre più abituato a contattare l’azienda in modo diretto, prescindendo da quelli che in passato erano considerati canali ufficiali (assistenza clienti, e-mail o telefonata) e dialogando con le aziende tramite i social media. Un motivo in più per investire su questi canali.
Fino ad ora abbiamo analizzato strumenti di Inbound Marketing utili per intercettare gli utenti potenzialmente interessati a contenuti, prodotti e servizi aziendali. Con questo nuovo capitolo affrontiamo lo step seguente: la Lead Generation.
Ormai sappiamo che lo scopo di un contenuto di valore è attirare l’attenzione di un utente: il passo successivo è far sì che quell’utente interagisca con l’azienda e si trasformi da semplice visitatore a lead.
Le Landing Page sono pagine del sito progettate al preciso scopo di convertire un utente in potenziale cliente: si tratta infatti di “pagine di atterraggio” in cui l’utente è chiamato a un’azione, tipicamente lasciare i suoi dati di contatto a disposizione dell’azienda.
Ecco perché una Landing Page è sempre dotata di un modulo o form di contatto, utile per raccogliere le informazioni del visitatore della pagina.
Ma perché un utente dovrebbe compilare il form? Che cosa può fare l’azienda per spingerlo a questa azione?
Il segreto, come abbiamo detto precedentemente, è lavorare su un Lead Magnet, ossia un contenuto di qualità messo a disposizione dell’utente in cambio dei suoi dati.
Il Lead Magnet può essere il rilascio di una copia di un Ebook gratuito, la prenotazione di una consulenza gratuita, una prima lezione di un videocorso online, l’iscrizione a un evento o un webinar: la tipologia di Lead Magnet dipende essenzialmente dal punto del Customer Journey in cui si trova l’utente.
Detto in altre parole, il contenuto che la Landing Page promette all’utente in cambio dei suoi dati deve essere sempre studiato sulla base di ciò che l’utente si aspetta.
Se ad esempio l’utente si trova all’inizio del suo customer journey ed è appena entrato in contatto con l'azienda, sarebbe prematuro pretendere che egli offra i suoi dati in cambio di una call con un commerciale, che richiede invece un livello di relazione più profonda. Piuttosto, potrebbe essere più efficace regalare un contenuto gratuito come un ebook, che l’utente potrà scaricare solo dopo aver lasciato i suoi dati.
Tutti questi aspetti vanno presi in considerazione quando si studia una strategia di Inbound Marketing.
Ovviamente, le informazioni raccolte dai form di contatto sulla Landing Page serviranno a iniziare tutta quella serie di attività di Lead Nurturing che spingeranno l’utente lungo il customer journey, fino a diventare cliente effettivo.
Attenzione: non è così scontato che un utente si converta in potenziale cliente al primo colpo. Si stima che addirittura il 98% degli utenti non arrivi alla conversione durante la sua prima visita a un sito web aziendale o a una landing page.
Qui entra in gioco il Retargeting, uno degli strumenti più utili per potenziare una strategia di Inbound Marketing.
Con gli annunci di Retargeting l’utente, una volta abbandonato il sito dell’azienda, riceve su altri canali da lui visitati (altri siti web o i social network) messaggi pubblicitari relativi al prodotto, il servizio o l’azienda che ha visionato in precedenza.
La convinzione alla base del retargeting è che il pubblico, avendo già una certa familiarità con l’azienda, sia più portato a interagire con l’annuncio, completando quindi la conversione.
Il Retargeting è molto efficace perché permette un elevato livello di personalizzazione: a seconda di come l’utente si è comportato sul sito o sulla Landing Page, l’azienda può infatti strutturare messaggi e percorsi per “inseguirlo” e farlo tornare sui suoi passi, attirandolo nuovamente all’interno dei canali aziendali per completare la conversione.
Poiché nella maggior parte dei casi il Retargeting si basa sui cookie, che il cliente può scegliere se accettare o meno visitando il sito aziendale, possiamo considerare il Retargeting una forma di Permission Marketing: per questo rientra a pieno titolo tra le strategie di Inbound Marketing.
Quando l’utente diventa un lead, una delle principali attività di Lead Nurturing consiste nel generare un flusso di e-mail destinato al lead per convincerlo gradualmente a diventare un cliente a tutti gli effetti.
Questo farebbe dell’email marketing uno strumento Inbound, ma non tutti sono concordi su questo punto.
Ricevere una e-mail comporta molto spesso un’interruzione, come impone la vecchia scuola dell’Outbound.
Dall’altra parte, se quella e-mail contiene un messaggio interessante, personalizzato e studiato su misura dell’utente, allora rientriamo a pieno titolo nelle logiche Inbound.
Comunque la si pensi, una cosa è certa: per funzionare, i flussi di e-mail marketing devono essere studiati per alimentare l'interesse del potenziale cliente, fornendo contenuti pertinenti che lo attraggono verso i prodotti e i servizi aziendali.
Bisogna inoltre ricordare che l’e-mail marketing non è utile solo nella fase di nurturing, ma anche in quella di fidelizzazione: la casella di posta è infatti un ottimo canale per rimanere in contatto con i clienti acquisiti.
Sono tanti gli esempi di campagne di Inbound Marketing di successo, tanto nel mondo B2C quanto in quello B2B.
Creare contenuti interessanti per la propria audience è una delle caratteristiche chiave di una strategia di Inbound Marketing.
Un'ottima soluzione è sondare le necessità del pubblico per scoprire se è possibile tradurre le loro esigenze in guide, tutorial e contenuti how to.
Il tutorial può assumere tante forme: articoli di blog ottimizzati per SEO, video su YouTube, post social di approfondimento e persino corsi, workshop e webinar.
Uno degli esempi migliori lo offre LinkedIn, che quotidianamente fornisce ai suoi utenti dei contenuti preparati ad hoc per i professionisti: guide per realizzare le campagne LinkedIn, infografiche per ottimizzare il profilo, presentazioni SlideShare, webinar e corsi di formazione professionale.
Una delle sue attività più famose dal punto di vista Inbound è la campagna The Sophisticated Marketer's Guide to LinkedIn, con cui LinkedIn pubblica ogni anno una guida completa scaricabile per sfruttare al meglio la piattaforma.
Al suo primo lancio, la guida venne scaricata 10.000 volte, facendo registrate al social 3.000 nuove iscrizioni.
Rispondere alla sete di informazioni degli utenti in merito a prodotti e servizi è un altro dei punti cardine dell’Inbound Marketing.
Ad esempio, le aziende che hanno una domanda particolarmente elevata di informazioni sui loro prodotti potrebbero mettere a disposizione sul proprio sito web diversi whitepaper per spiegarne le funzionalità e la tecnologia.
I whitepaper possono essere scaricati solo dopo il rilascio dei propri dati di contatto, che l’utente deve compilare inserendo i dettagli sull’azienda e sul settore in cui lavora, utili per le successive attività di segmentazione e Lead Nurturing.
Non solo: da questi whitepaper, l’azienda può ricavare delle versioni ridotte da caricare sul blog aziendale per la consultazione gratuita. In questo modo, oltre a sfruttare le potenzialità della SEO per aumentare il traffico sul sito, l’azienda fa leva sulla possibilità di scaricare il contenuto più completo, favorendo la generazione di lead.
Condurre uno studio, una ricerca o realizzare un report di interesse per l’audience, per poi condividerlo sui canali ufficiali, rappresenta un altro valido esempio di applicazione delle strategie Inbound.
Le aziende che erogano servizi e prodotti in campo B2B possono realizzare ad esempio dei paper annuali su temi di interesse per la propria audience, scaricabili attraverso il rilascio di un contatto.
Questo tipo di contenuto porta con sé numerosi vantaggi: oltre a favorire le logiche di Lead Generation, studi e ricerche proprietari costituiscono un contenuto ad altissimo valore che può contare anche sulla copertura virale ottenuta tramite la condivisione da parte degli utenti (e persino dalla stampa), specie si lavora in collaborazione con altri player del settore.
L’attività si dimostra inoltre un ottimo modo per aumentare la reputazione aziendale e lavorare su quel paradigma di Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness necessari per portare gli utenti a fiarsi dell’azienda e a stringere un legame più saldo.
Gli eventi virtuali come seminari online, videoconferenze e webinar sono un altro esempio molto popolare di Inbound Marketing.
Le aziende B2B possono organizzare eventi virtuali per interagire con gli utenti e ottenere non solo la loro attenzione, ma anche il loro coinvolgimento diretto, facendo leva sulla partecipazione di relatori di spicco degli utenti o su un argomento di particolare interesse per ottenere iscrizioni e, dunque, contatti da sfruttare nei processi di Lead Nurturing.
Questa attività rientra a tutti gli effetti tra le esperienze phygital, ovvero quelle attività a metà strada tra mondo digitale e mondo reale che coinvolgono fortemente l’audience.
Oltre agli eventi, un altro ottimo esempio di esperienza phygital applicata all’Inbound Marketing è lo sviluppo di ambienti demo e virtual tour in cui gli utenti possono fare un’esperienza diretta delle soluzioni offerte dall’azienda e conoscerne meglio i punti di forza.
Qualcosa di simile è stato fatto da Krones, azienda tedesca produttrice mondiale di impianti per l'imbottigliamento e confezionamento di bevande.
Durante il periodo pandemico, Krones ha sviluppato sul proprio sito web una visita digitale dei suoi stabilimenti per offrire ai potenziali clienti un tour completo alla scoperta delle sue soluzioni. Un ottimo esempio di strategia Inbound che ha dato vita a un contenuto coinvolgente e di grande valore.
Tutti questi esempi di Inbound Marketing applicato con successo mettono in luce un aspetto interessante: l’Inbound Marketing si sposa alla perfezione ai nuovi processi di acquisto “omnichannel”.
Gli acquirenti oggi sono abituati a passare da un canale all’altro prima di effettuare un acquisto, toccando un gran numero di touchpoint digitali, senza soluzione di continuità.
Il mix di social network, siti internet e annunci fa rimbalzare l'utente da una parte all'altra del web durante la fase intermedia del customer journey, in quello che molti esperti hanno rinominato Messy Middle.
In più, l’utente non si muove solo online, ma anche offline, rendendo sempre più complicata la definizione di un customer journey coerente e ordinato.
Da qui la necessità delle aziende di essere presenti in tutti i touchpoint del “nuovo” modo di acquistare, muovendosi tra i diversi canali digitali e fisici in modo simultaneo.
L’Inbound Marketing, con il suo obiettivo di proporre messaggi personalizzati di valore per farsi trovare dagli utenti, si dimostra un ottimo alleato in questo nuovo approccio omnicanale: l’Inbound lascia infatti che sia l’utente a entrare in contatto con l’azienda, assecondando un customer journey sempre più sfuggente e dinamico.
Possiamo dire che tanto l’Inbound Marketing quanto l’Omnichannel Marketing hanno in comune il dover ripensare il buyer journey per acquisire, coinvolgere e fidelizzare i clienti attraverso esperienze positive nei vari touchpoint.
Ma c’è almeno un altro motivo per cui l’Inbound Marketing va assolutamente sfruttato ai tempi dell’omnicanalità.
La decisione di acquisto non viene solo presa rimbalzando da un canale all’altro. Essa è influenzata soprattutto dalle esperienze di altre persone. Addirittura, si dice che il 57% dei processi di vendita B2B si completi prima che gli acquirenti contattino direttamente l’azienda.
In questo scenario, non basta più che le aziende concentrino le loro attività di marketing sui diversi canali online e offline per l'acquisizione di nuovi clienti: esse devono lavorare soprattutto sulla soddisfazione del cliente acquisito per trasformarlo in un brand ambassador convinto, capace di portare altri clienti tra le braccia di un’azienda.
L’Inbound Marketing, e in particolare il flywheel model, tengono conto di questo aspetto.
La fidelizzazione di un cliente alimenterà sempre l’attrazione di nuovi potenziali clienti, creando un sistema virtuoso che si autoalimenta, generando continuamente nuove entrate per l’azienda.
Chi desidera approfondire il tema ha a disposizione una vasta scelta di libri sull’Inbound Marketing.
Dai testi dei primi pionieri ai manuali più recenti, troverai raccolte qui di seguito diverse proposte da inserire in libreria o tenere a portata di mano sulla scrivania per progettare le prossime strategie aziendali.
Inbound marketing. Attirare e soddisfare i clienti online
Brian Halligan, Dharmesh Shah
Il testo sacro dell’Inbound Marketing porta la firma dei fondatori di HubSpot, i primi ad aver trattato e diffuso questa metodologia. Il libro si apre con un’introduzione teorica in cui viene dimostrato come nel mondo online sia il cliente a cercare il prodotto di cui ha bisogno, mentre lo scopo di un’azienda è quello di farsi trovare. Poi, attraverso esempi e casi studio, Halligan e Shah spiegano come trarre il massimo vantaggio dal cambio di prospettiva offerto dell'Inbound Marketing.
Permission Marketing. Trasformare gli estranei in amici e gli amici in clienti
Seth Godin
Pioniere di internet e autore di successo, Seth Godin è stato tra i primi a mettere in luce le potenzialità del Permission Marketing. In questo lavoro in particolare, illustra come costruire una reale riconoscibilità del marchio ed incrementare le possibilità di vendita grazie a un modo diverso di pensare i prodotti e la comunicazione. Anche se un po’ datato, il libro è una di quelle letture imprescindibili (al pari dell’altro capolavoro di Godin, La Mucca Viola) per chi si occupa di marketing.
Inbound Marketing And SEO: Insights From The Moz Blog
Rand Fishkin, Thomas Høgenhaven
Il blog di Moz è sempre stato un punto di riferimento per chi si occupa di SEO e Inbound Marketing. In questo libro sono raccolti gli articoli più popolari del blog, arricchiti con saggi sui temi più disparati, dai canali di marketing online al content marketing, dai social media all’ottimizzazione del tasso di conversione. Più che un manuale, l’opera è un’antologia ricca di spunti, con tanti esempi di successo che possono fornire una preziosa fonte di ispirazione per marketer e imprenditori.
Inbound marketing. Fare strategia nell'era digitale
Jacopo Matteuzzi
Scritto in modo semplice ed esaustivo, il libro del marketer Jacopo Matteuzzi illustra l’approccio strategico necessario per costruire progetti digitali in ottica Inbound. Rispetto ad altri volumi, il manuale spicca per l’attualità dei contenuti: il mondo digitale è cambiato tantissimo rispetto a qualche anno fa, per questo è importante approfondire che cosa si intende per Inbound Marketing oggi. Dal posizionamento di brand, prodotti e servizi alla definizione del percorso d’acquisto dell’utente fino alla creazione di contenuti, il libro offre non solo spunti di riflessione, ma una vera guida operativa.
They Ask You Answer: A Revolutionary Approach to Inbound Sales, Content Marketing, and Today's Digital
Marcus Sheridan
Il New York Times ha definito Marcus Sheridan un guru del web marketing. Con questa guida, l’autore e imprenditore statunitense dimostra di meritare l'appellativo. Il suo libro sull’Inbound Marketing spiega infatti come strutturare una strategia di contenuto efficace semplicemente rispondendo alle domande dei clienti. Lo fa a partire da un caso reale: la società di cui Sheridan è proprietario. Oggi, la sua azienda è diventata uno dei più grandi installatori di piscine negli Stati Uniti: l’autore racconta l'origine di questo successo, iniziato nel momento esatto in cui l’impresa ha smesso di vendere e “iniziato a rispondere”. Un case study molto interessante su come l’Inbound Marketing possa favorire la crescita.
Accelerare le vendite. La formula per moltiplicare i profitti sfruttando i dati, la tecnologia e l'inbound selling
Mark Roberge
Dopo la sua esperienza di Senior Vice President in HubSpot, che ha portato l’azienda da 0 a 100 milioni di dollari di fatturato, Mark Roberge ha deciso di condividere la sua formula scientifica per creare profitto attraverso l’Inbound Marketing. Analizzando meticolosamente il processo di costruzione della macchina di vendita perfetta, il libro spiega come trasformare un semplice utente in un cliente profittevole, identificando gli step utili per generare una crescita continua della domanda, sfruttando poi la tecnologia per massimizzare le prestazioni. Un vero best seller e fonte preziosa di best practices.
The new rules of Marketing & PR
David Meerman Scott
Rimaniamo in casa HubSpot con il libro sull’Inbound Marketing di David Meerman Scott. Diventato anch’esso un best seller internazionale, il volume si propone come una guida per marketer e imprenditori che desiderano far crescere la propria attività sfruttando i contenuti online per acquisire clienti interessati e reattivi. Oltre a illustrare le potenzialità dell’Inbound Marketing, Meerman Scott si concentra sul buono dell’Outbound Marketing, dimostrando come l’unione di entrambe le prospettive risulti cruciale per emergere sul mercato. Il tutto con casi di studio avvincenti ed esempi di strategie e tattiche da applicare.